Se siamo figli di Dio o discendenti di Abramo non dovrebbe bastare la nostra vita a dirlo?
Ogni anno ci tocca la fatica di entrare nel dibattito tra Gesù e un gruppo dirigente dei giudei (cfr. Gv 8,31-59). Non erano giorni facili per Gesù. Dobbiamo ricostruire il clima in cui avviene questo scontro. Erano giorni di festa, siamo nello spazio sacro del tempio. Gesù quell’anno alla festa era salito quasi di nascosto, ormai era nell’occhio del ciclone: in qualche modo era un sorvegliato speciale, uno che aveva aperto una strada nuova, aveva dato inizio a un movimento spirituale che suscitava domande e reazioni.
Giovanni nel Vangelo annota: «I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: “Dov’è quel tale?” E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: “È buono”. Altri invece dicevano: “No, ma inganna la gente”. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei» (Gv 7,11-13). Che lo si volesse uccidere era ormai risaputo, tant’è che molti si meravigliavano che gli si permettesse di parlare nel tempio. In verità proprio in quei giorni i Giudei avevano messo in atto un piano per arrestarlo. Ma il piano era andato buco: coloro che erano stati mandati per arrestarlo, non se l’erano sentita.
C’è qualcosa di inquietante anche per noi nel racconto, soprattutto se non ci sfugge che le malattie della religione non riguardano solo il passato, ma ogni tempo, ogni stagione. Questa, che trapela dal nostro brano, è una malattia mortifera. Ha esiti di morte. Chi se ne lascia contagiare diventa, spaventosamente, mortifero. Forse che non sta scritto: «Allora raccolsero delle pietre, per gettarle su di lui». Mi direte che sta scritto anche: «Ma Gesù si nascose e uscì dal tempio». Ma voi sapete che fu semplicemente una morte rimandata. Religione mortifera.
Forse i sintomi della malattia li sorprendiamo mettendo a confronto il brano della samaritana al pozzo con questo dei Giudei nel tempio. Ricordate, là le parole uscivano come di vento, portavano lontano, facevano sognare. Qui le parole stagnano, sono immobili, fanno morire. Là accadeva che si liberava, per grazia, dalle pietre il pozzo ed era gorgogliare di sorgente. Qui al contrario è la stagione delle pietre, parole come pietre, e qualcuno a rischio di pietre.
La nostra riflessione potrebbe indugiare sulla polarità: immobilità e cammino, ravvisando proprio nella immobilità il segno della morte. Ci si barrica dietro la propria identità. E quanto più le identità sono spente, formali, tanto più sono declamate e sbandierate. Se siamo figli di Dio o discendenti di Abramo basta la nostra vita a dirlo, non occorrono parole, soprattutto parole dure. Come puoi dire «Dio» o «Abramo» con parole dure, come succedeva a quei giudei? Ma vale anche oggi, vale per noi.
Angelo Casati