La vicenda di Lazzaro, raccontata da Giovanni nel capitolo 11, è un “classico” del Vangelo di movimento. Si spostano tutti: Gesù per primo. Poi vanno e vengono anche i discepoli, la gente, Marta e Maria, e per ultimo lo stesso Lazzaro che non “riappare” ma proprio “esce” dalla tomba, particolare che l’evangelista sembra di proposito voler sottolineare.
C’è qualcosa che fin da subito sorprende e i discepoli se ne accorgono. Se Gesù tiene tanto a Lazzaro perché, visto che ne ha il potere, non lo guarisce o addirittura lo resuscita a distanza? È proprio necessario, si chiedono, muoversi verso la Giudea, tanto più che proprio in Giudea il Maestro è stato ripetutamente minacciato di morte? Ancora una volta è Gesù che si muove. Non salva, ma “va a salvare” e non è la stessa cosa.
Dopo lo scambio di battute con i discepoli che continuano a non capire bene, Giovanni riprende il racconto direttamente a Betània, villaggio alla periferia di Gerusalemme dove abitano gli amici di Gesù: Lazzaro con le sue sorelle Marta e Maria. Qui inizia un complesso gioco di movimenti, che danno realismo cinematografico alla scena. Marta esce, Maria resta, poi Marta torna e Maria esce, la gente attorno si muove con loro.
Ciò che sta per avvenire è forse il più grande dei miracoli: siamo nel pieno del mondo del sovrannaturale, del sacro, eppure la scena raccontata, il comportamento di Gesù, non ha proprio niente di arcano, di ieratico o di sovrannaturale appunto. Al contrario è una scena umana di disarmante semplicità: molta gente va e viene a consolare le due sorelle. Quando Marta apprende dell’imminente arrivo dell’amico, corre fuori a incontrarlo mentre Maria rimane in casa. Il dialogo non ha nulla di sacro, anzi Marta sembra rimproverare Gesù di non essere stato lì a impedire la morte del fratello. Il Signore sa perfettamente che cosa sta per compiere. Lo ha detto ai suoi discepoli poco prima («sono contento per voi che non eravamo là, così crederete»). Sa che tutti fra poco crederanno eppure lascia che il corso degli eventi segua in pieno la logica umana. Giovanni si sofferma addirittura su un fatto apparentemente secondario: Marta torna a casa a chiamare Maria che a sua volta esce. Non credo ci sia tanta simbologia in questo: è semplicemente una normale azione umana, in un contesto umano, in un momento di grande umanità.
Cosa manca piuttosto? La solennità.
Maria fa qualcosa di incredibile parlando al Signore. Lo muove a compassione; Giovanni usa termini come tristezza ed emozione. Gesù è Dio e si intristisce? Si emoziona? Dove è finito, di nuovo, l’essere perfettissimo che ci hanno fatto studiare al catechismo? Poche righe dopo addirittura si mette a piangere. Un Dio che piange? È la risposta della gente (non di tutti, perché qualcuno continua a non capire) a questo pianto la chiave che risponde a tutte le domande: «Guarda come gli voleva bene!».
Chi di noi non ha mai sperimentato il pianto per amore? Pensando alla persona amata, si piange per un dolore, certo, ma anche per un ricordo bello, per un’attesa, per un attimo di dolcezza, davanti a un bambino che nasce, per un figlio che si diploma o che trova un lavoro… inutile fare l’elenco. Gesù si è fatto uomo come noi, poteva forse essere diverso? Non emozionarsi, non intristirsi, non piangere?
Federico Bini
(Tratto da: F. Bini, Quando e perché nel Vangelo ci si muove, Centro Ambrosiano)