Terminati tutti questi discorsi, il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso». Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. Dicevano però: «Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo». (Mt 26,1-5)
Questi pochi versetti, apparentemente così sintetici e scarni, scattano un’istantanea sullo stato delle cose, per aprire la nostra mente e il nostro cuore agli avvenimenti dei prossimi giorni. Da un lato c’è Gesù, ormai giunto al capolinea del suo ministero pubblico, nel quale ha profuso ogni energia, ogni parola, ogni gesto, per far comprendere ai suoi discepoli il disegno d’amore del Padre. Possiamo solo vagamente immaginare i sentimenti da cui è pervaso: la determinazione e insieme la paura e l’angoscia di andare fino in fondo, l’affetto per i suoi discepoli e insieme la delusione nel vedere che ancora faticano a comprendere. Nei prossimi giorni, desideriamo provare a entrare un po’ di più nella sua umanità trafitta, nella sua divinità abbassata, umiliata e oltraggiata fino a subire la condanna che veniva riservata soltanto agli schiavi o ai malfattori della peggior specie. E poi i discepoli, che in questa fase appaiono sempre più smarriti: ascoltano ma non comprendono, si muovono insieme al Maestro, lo seguono, ma senza sapere esattamente dove stiano andando e, soprattutto, perché. Il Figlio dell’uomo crocifisso… che assurdità!! Intanto, i capi dei sacerdoti e gli anziani tramano: Gesù è diventato troppo scomodo perché minaccia il loro sistema di potere alla base, vanificando ogni pretesa giustificazione divina. Dimostra che Dio non ha bisogno del potere politico e militare per essere chi è e nessuno, nel suo nome, può avere una simile pretesa. E, infine, c’è il popolo, che rimane sullo sfondo. Le autorità lo temono: nel suo incoerente fluttuare, è imprevedibile. Potrebbe scatenare una rivolta se le autorità provassero a turbare il clima della festa mettendo a morte un rabbi ormai così famoso e stimato. Forse neanche i capi si immaginano che, di lì a poco, quella stessa folla invocherà la liberazione di Barabba e la crocifissione di Gesù.
E noi dove ci collochiamo? Troviamo anche noi il nostro posto in questi giorni: entriamo nei sentimenti di Gesù e lasciamo che anche i nostri sentimenti trovino voce e parole. Parole di smarrimento ma anche di fiducia.
«Voi sapete…» (Mt 26,2)
Gesù prende ancora la parola, ma per annunciare ai discepoli l’epilogo della sua vita. Ciò che aveva spiegato negli anni di vita trascorsi insieme trova ora il momento del suo compimento: è la Pasqua, memoria di antichi prodigi, di segni che testimoniano la fedeltà e la misericordia di Dio, ma contemporaneamente è anche il tempo in cui Gesù sarà consegnato e crocifisso. Il termine consegnare/consegnarsi ha molti significati. “Consegnarsi” è il verbo della docilità e dell’amore, il verbo che indica l’atto obbediente con cui Gesù si affida alla volontà del Padre, a Dio, che finalmente nella passione del Figlio manifesta in modo ineludibile il suo volto pietoso e misericordioso. Dio non si rivelerà nel trionfalismo, ma nell’umiltà e nella verità. Ma “consegnare” è anche il verbo del tradimento di Giuda, è il verbo di ogni tradimento. È l’azione che fa di Gesù un amico tradito, un uomo abbandonato e venduto per un pugno di denari. Gesù ricorda ai discepoli la morte infamante di cui sarebbe stato vittima e per la quale avrebbe molto sofferto: la crocifissione. Tuttavia va incontro a questa fine e lo fa consapevolmente. E vorrebbe dai discepoli la stessa consapevolezza e preparazione. Vorrebbe che il loro cuore fosse intimamente unito al suo, fosse pronto a intrepretare le ore dello sgomento, quelle della paura e della morte.
Perché siamo incerti nel seguire Gesù ogni volta che la vita ci impone di camminare sulla via della croce? Sapere che la via crucis è via cristiana, saperlo e non scomporsi, saperlo e non disperarsi, ma perseverare nel percorrerla per amore è via di santità e di luce.
(Tratto da: Comunità Sorelle del Signore, Presagi di vita, Centro Ambrosiano)